I principali metodi di sintesi sonora: panoramica sui più comuni ed alcuni dei meno comuni metodi di sintesi

Il sintetizzatore, fin dalla sua nascita strumento camaleontico, ha avuto nella sua ormai pluridecennale storia un numero sterminato di incarnazioni, che seguivano logiche a volte molto diverse per giungere a risultati simili o molto diversi; in questo breve articolo trattiamo alcuni di questi metodi e degli strumenti che li hanno resi popolari.
Sintesi sottrattiva

Inevitabilmente o quasi, per ragioni storiche ma non solo, la prima di cui parlare; resa popolare tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 grazie agli strumenti ideati da Bob Moog ed Alan Pearlman, ma non solo, la sintesi sottrattiva continua ad essere quella che i più studiano per prima, e l’approccio sottrattivo continua a dominare l’architettura di buona parte degli strumenti più moderni, oltre che il sound design di moltissimi brani.
L’idea di base della sintesi sottrattiva consiste nell’usare delle forme d’onda armonicamente ricche, per andare poi dinamicamente a togliere parte delle armoniche con un filtro controllato da modulatori, primi tra tutti, inviluppi o LFO. È un approccio comune tanto in ambito analogico quanto digitale, anche se il grosso delle implementazioni della stessa in ambito digitale vengono spesso classificate come “virtual analog”, ricordandoci in qualche maniera quella che ne è la storia e l’origine.
La lista di sintetizzatori sottrattivi potrebbe essere senza fine, ma per citarne alcuni beh… il Minimoog, e circa tutti i Moog, e altrettanto tutti gli analogici a tastiera tra anni 70 e 80, quindi buona parte della produzione di Sequential Circuits, i vari Oberheim, Elka, Arp, ma anche Yamaha, Roland, Korg dell’epoca e tantissimi altri, in tempi più moderni, dall’era del virtual Analog, le prime incarnazioni del Virus (quelle più recenti fanno anche molte altre cose che dalla sintesi sottrattiva escono e non di poco), i vari NordLead, L’MS2000, e la sua sorellina di grande successo Microkorg, l’Alesis Ion, il JP8000, lo Yamaha An1x, e gran parte delle macchine del “rinascimento analogico” degli anni 2010, dal Microbrute, alla Bass Station 2, all’infinità di cloni di macchine del passato e a una enormità di strumenti troppo sterminata per poterne fare un elenco esaustivo.
Sintesi FM

La sintesi FM è stata teorizzata a Stanford negli anni ’60 da John Chowning, il quale vendette l’idea alla Yamaha nel 1973, che realizzò di li a breve i primi prototipi, per distribuire il primo synth FM commerciale, il GS-1 nel 1980, e di li a breve, nel 1983, il DX-7 ed N iterazioni ed evoluzioni dello stesso, strumento che è impossibile non menzionare parlando di sintesi FM.
Diversamente dalla sintesi sottrattiva, la sintesi FM parte da forme d’onda armonicamente povere, di solito, almeno in origine, sinusoidi, per modulare tra loro la frequenza degli oscillatori.
Questo in teoria almeno, buona parte delle implementazioni della sintesi FM in realtà sono realizzate modulando non la frequenza ma la fase, cosa che non senza difficoltà si può dimostrare esser circa matematicamente equivalente, e ai fini più pratici molto più facile da gestire, sia dal punto di vista del programmatore quanto del musicista.
Tipicamente implementata in digitale, può essere realizzata anche nel dominio analogico, anche se tipicamente non è prevista in strumenti ad architettura fissa.
A primo impatto meno immediata della sintesi sottrattiva, la sintesi FM offre possibilità notevolissime, soprattutto se combinata con altri metodi, e nel contesto moderno, potendo essere realizzata non solo con oscillatori sinusoidali ma anche con forme d’onda ricche e complesse; già nella sua forma originaria offriva possibilità nuove al programmatore con la voglia di sperimentare e ricercare, mentre nelle sue incarnazioni più recenti ha dato modo di realizzare suoni ai tempi nuovi e diversi che oggi fanno parte dell’immaginario sonoro collettivo.
Oltre alle già citate Yamaha DX, e in buona parte degli strumenti Yamaha fino ai primi anni 2000, la FM la troviamo implementata in qualche maniera in buona parte dei VA, in alcuni strumenti Korg con il nome di VPM, e più recentemente nell’OPsix, in un’enormità di plugin e strumenti virtuali, quali Sytrus, Operator, Phase4, FM8, per citarne solo alcuni che la usano come metodo di sintesi principale, ma anche in altri strumenti che la includono tra i possibili metodi, quali buona parte dei plugin moderni, Serum, Pigments, Vital, Surge, Zebra, e tantissimi altri.
Estendendo il concetto, va detto che avendo a disposizione uno strumento capace di utilizzare segnali in banda audio come modulatori, frequenza e fase non sono le sole possibili destinazioni di modulazione; è possibile generare dinamicamente strutture armoniche complesse ed interessanti anche modulando l’ampiezza, facendo quindi della AM, o della ring modulation, o la frequenza di taglio del filtro, per fare della filter FM, cose che aprono ad altre possibilità, possibili in molti strumenti, ma che non mi risulta siano state usate come metodo di sintesi a se in nessuno strumento di rilievo.
Sintesi Addittiva

Come non menzionarla?
No, non è uno dei metodi di sintesi più comuni, e tra i pochi strumenti che l’hanno realizzata in hardware dovrò menzionare il non recentissimo Kawai K5000; L’idea alla base della sintesi addittiva è quella di regolare dinamicamente il volume delle singole armoniche; cosa che offre un potenziale enorme, ma che non risulta particolarmente immediato da programmare; per certi versi, e spero nessuno mi biasimi per questa brutale approssimazione, tanto la sintesi FM quanto la Wavetable sono metodi di raggiungere lo stesso risultato rendendolo più immediato.
Sintesi PD, o a distorsione di fase

Introdotta dalla Casio nel 1984 nella serie CZ, la sintesi phase distortion è per certi versi simile alla FM, almeno nel fatto che entrambe sono basate sul modificare dinamicamente il contenuto armonico di una portante tramite un altra forma d’onda.
Oggi quasi “scomparsa” se non in emulazioni software dei CZ, era molto interessante all’epoca per il suo poter realizzare in digitale spettri più simili a quelli generati dagli oscillatori dei synth sottrattivi rispetto alla FM, e il poter senza troppe macchinazioni emulare anche il comportamento di un filtro risonante, cosa non banale per un sintetizzatore digitale dell’epoca.
Sintesi a modelli fisici

Figlia come la FM dell’università di Stanford, sviluppata in origine da Karplus e Strong, la sintesi a modelli fisici si basa sull’emulare la generazione meccanica di un timbro, introducendo una forzante e un risuonatore accordato; spesso, per non dire sempre realizzata in digitale, vede come suo componente principale il filtro a pettine, ovvero una sorta di microdelay accordato, al quale vengono mandate forzanti diverse, tipicamente un impulso di rumore.
Strumenti basati su questo metodo sono lo Yamaha VL-1, il Korg Prophecy, lo Z-1, ma la troviamo anche implementata in molti plugin contemporanei, da Zebra a Surge, o a circa qualsiasi synth che possa comprendere un filtro a pettine nella sua architettura di voce.
Sintesi Vettoriale

Per certi versi “desueta” anche se spesso in un modo o nell’altro parte del percorso logico per la realizzazione di qualsiasi suono un minimo complesso anche oggi, la sintesi vettoriale è stata introdotta da Sequential Circuits nel Prophet VS nel 1986. poi usata da Yamaha in diversi strumenti e da Korg nella Wavestation, che ha da poco visto una riproposizione in chiave più attuale.
L’idea di base consiste nel creare interesse in un suono realizzando una sorta di crossfading dinamico tra segnali diversi, originariamente e tipicamente 4, controllandone i volumi relativi con un Joystick o con i vari modulatori. Oggi per chi volesse provare a fare della sintesi vettoriale “pura” a basso costo, gli oscillatori di Odin2 offrono una modalità vector.
Sintesi Wavetable

Come già menzionato, è per certi versi un modo di arrivare “barando” a qualcosa di simile alla sintesi additiva; una wavetable è una collezione di onde lunghe un periodo, e un oscillatore wavetable permette di scorrere tra le varie onde, cambiando quindi dinamicamente, in contenuto armonico e in fase l’output di un oscillatore; spesso, per non dire sempre, la cosa viene realizzata tramite campioni realizzati ad hoc, motivo per cui in un certo senso rappresenta un caso particolare di sintesi sample based, di cui parlerò nel prossimo paragrafo, ma che per varie ragioni penso meriti una trattazione a se.
Introdotta, almeno come idea nel 1977 da Hal Chamberlin, è stata successivamente sviluppata da Wolfgang Palm, per poi diventare il metodo primario di sintesi nei suoi PPG, e successivamente negli strumenti di Waldorf, ma anche Ensoniq, Access e altri; molto comune oggi nei plugin, dall’ormai non recentissimo Massive a Serum o Vital o troppi altri per elencarli tutti. Oggi molti strumenti, tanto in ambito software quanto hardware (si pensi ad esempio al Waldorf Iridium o al Novation Peak) permettono all’utente di realizzare le proprie wavetable, ampliando enormemente il campo delle possibilità per il musicista che abbia voglia di cercare un proprio suono.
Sintesi sample based

Non un metodo di sintesi in senso stretto, ma per molti versi, impossibile da non menzionare e base per molti altri metodi, compresa la gia menzionata wavetable, l’idea di partire da campioni PCM per realizzare suoni diversi è in uso da ormai diversi decenni, dai primi costosissimi campionatori, quali il Synclavier, ai successivi Ensoniq Mirage, per arrivare alla sterminata serie di Workstation dagli anni ’90 in poi, l’uso di campioni non solo per emulare suoni già esistenti, ma come “mattoncini” per realizzare suoni nuovi può dare grandi soddisfazioni.
L’uso dei campioni può essere molto diverso da un’implementazione all’altra e le possibilità dipendono criticamente dalla memoria e dalla potenza di calcolo a disposizione; in un certo senso la sintesi LA, o linear arithmetic del Roland D-50, di fatto era basata sull’idea di sommare dei piccoli campioni di suoni “meccanici” a suoni generati in modo puramente sintetico per aggirare i limiti indotti dal costo proibitivo delle memorie digitali all’epoca, mentre già una Korg M1, o le sue eredi, quali Trinity e Triton, potevano permettersi volumi di campioni enormi.
L’idea si è evoluta moltissimo e il “maltrattamento” dei campioni oggi offre possibilità molto più vaste, dall’approccio spettrale, come in Iris di Izotope, alla sintesi granulare, disponibile in moltissimi strumenti, per arrivare alla resintesi, come in strumenti tipo il visionario Hartmann Neuron dei primi anni 2000 o Omnisphere, o altri approcci creativi al campionamento, come nell’ormai leggendario V-synth di Roland.
Per quanto possa apparire come un metodo “pigro” un uso intelligente e calibrato dei campioni offre possibilità difficilmente ottenibili altrimenti, basti guardare anche solo alle possibilità offerte dagli ensembles di Kontakt o di un qualsiasi altro campionatore moderno, come anche solo Nexus.
Sintesi “Moderna”

I tempi in cui uno strumento o un plugin potevano offrire uno e un solo metodo per produrre suoni, sono finiti da un po; la totalità o quasi degli strumenti di oggi ci offrono tanto forme d’onda semplici, quanto altre più complesse, campioni da maltrattare in vari modi, filtri di ogni genere, e in generale la possibilità di combinare metodi diversi in un singolo suono per realizzare timbri completamente nuovi… possiamo fare della FM, ma filtrare il nostro segnale con un filtro controllato da un inviluppo, modulare in FM 2 wavetable, combinare modulazione di fase e di ampiezza usando come portante o modulante segnali già molto complessi… i soli veri limiti sono la fantasia e il gusto, un musicista che oggi abbia l’uno e l’altro e la voglia di mettersi in gioco, può esser fermato solo dall’imbarazzo della scelta.
Qual’è il vostro metodo d’elezione per andare a cercare i vostri suoni?
Quale stimola di più la vostra creatività e porta ai timbri più calzanti la vostra musica?
Mi sono dimenticato forse del vostro metodo di sintesi preferito?
Fatemelo sapere nei commenti.
Hai delle domande?